Il buon combattimento
L’apostolo Paolo attraverso 1 Timoteo 6:12 ci esorta: “Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e in vista della quale hai fatto quella bella confessione di fede in presenza di molti testimoni”). Paolo viveva il tipo di lotta che descrive. Giunto quasi alla fine del suo ministero, poteva vantarsi: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede” (2 Timoteo 4:7).
Il buon combattimento è la fede cristiana e la gara cui la fede è assimilata. Per afferrare la vita eterna Timoteo doveva correre questa gara in modo appropriato. Ciò non significa che egli doveva lottare per giungere alla salvezza (già la possedeva!), ma doveva vivere l’esercizio quotidiano della vita eterna, che già gli apparteneva.
Giacobbe è un buon esempio di come tornare a lottare. Quando il profeta Osea volle sfidare Israele, a causa della condizione spirituale di codardia del Paese, gli ricordò di Giacobbe. “Nel grembo materno egli prese il fratello per il calcagno e, nel suo vigore, lottò con Dio; lottò con l’Angelo e restò vincitore; egli pianse e lo supplicò” (Osea 12:4-5). In questo breve passo, Osea riassume il segreto di tornare alla lotta e avere la meglio con Dio, al fine di superare ogni battaglia della vita.
La nascita stessa di Giacobbe rivela la sua natura di combattente, il suo desiderio di vincere e di ottenere le benedizioni di Dio.
Il fratello gemello di Giacobbe, Esaù, fu il primo a uscire dal grembo materno. Mentre usciva, tuttavia, una manina afferrò il suo calcagno. Era la mano del suo gemello, Giacobbe. Vi era nel piccolo Giacobbe un istinto santo, era come se dicesse: “Fratello, togliti dalla mia strada! Se non vuoi la primogenitura di questa famiglia e la pienezza delle benedizioni di Dio, io, invece, le voglio”. La primogenitura che Giacobbe cercava rappresenta tutte le benedizioni che noi abbiamo in Gesù Cristo. Credo che Giacobbe non cercasse solo la doppia porzione dei beni del padre. Egli desiderava qualcosa di più.
Questo tipo di santo desiderio lo dobbiamo desiderare anche noi ! Dio vuole un popolo che non sia solo interessato a vivere la sua vita, a possedere una bella casa o a guidare una bella auto. Egli cerca chi brama le sue benedizioni per potere, a sua volta, benedire il mondo.
Esaù, era l’opposto di tutto ciò. La sua vita rappresentava tutto quello che Dio odia. Esaù viveva per soddisfare i suoi appetiti, i suoi piaceri e i suoi desideri. Non prese mai in considerazione gli eterni propositi di Dio. Ma “’Esaù non era forse fratello di Giacobbe?’ dice il Signore; ‘Eppure io ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù; ho fatto dei suoi monti una desolazione e ho dato la sua eredità agli sciacalli del deserto’” (Malachia 1:2-3). Al contrario, Giacobbe viveva per realizzare i propositi di Dio e la sua mano sul calcagno del fratello rappresenta una potente presa di posizione.
Giacobbe passò anni a lottare per ottenere e mantenere le benedizioni del Signore. Lo stesso desiderio dovrebbe animare noi oggi. Se non abbiamo fame di Gesù, se vogliamo solo andare in cielo e non essere infastiditi dal lavoro di aiutare a soddisfare i bisogni degli altri, allora non abbiamo nulla per cui lottare. Abbiamo fatto di noi stessi un facile elemento per il diavolo, il quale sa che non resisteremo ai suoi attacchi.
Giacobbe ingannò suo padre, Isacco, facendosi dare la primogenitura che spettava a Esaù. Anni dopo, pensò di dover pagare per quell’inganno, quando apprese che suo fratello gli stava venendo incontro con 400 cavalieri, apparentemente animato da spirito di vendetta. “Allora Giacobbe fu preso da gran paura” (Genesi 32:7). In quel momento di solitudine Giacobbe deve aver gridato: “Oh, Signore, sto per perdere tutto. E’ in gioco la mia stessa vita!”
Proprio quando Giacobbe cercava una parola di conforto da parte di Dio, il Signore venne a lottare con lui, come se fosse un suo nemico. “Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba” (Genesi 32:24). L’uomo citato in questo verso è considerato dai teologi il Signore stesso, che lottò con Giacobbe.
Questo brano contiene una delle più grandi lezioni per noi. La nostra battaglia non è mai con gli uomini con i nostri colleghi di lavoro, non con i nostri vicini, non con i nostri cari non salvati , ma bensi con Dio stesso. Quando mettiamo a posto le cose con il Signore, rendendo le nostre vite giuste davanti a lui, tutto è messo in gioco. Non importa quali altre battaglie dobbiamo affrontare nella vita.
La lotta maggiore che Giacobbe sostenne non fu con Esaù. Fu con il Signore, e Dio aveva in mente una cosa specifica da realizzare attraverso questa lotta. Giacobbe non fu mai in pericolo a causa di Esaù, lo scopriamo più avanti nella storia e vi invito a leggerla, ma corse dei rischi a causa della sua debolezza. Dio sapeva che il carattere di Giacobbe non era adatto ad affrontare ciò che sarebbe poi accaduto nella sua vita. Ecco una ragione per cui Dio venne a lottare con lui. Il Signore operò come allenatore di Giacobbe, per trasformarlo in un forte combattente, in grado di vincere su qualunque nemico.
Le prove che sono presenti nella nostra vita servono a questo ! Quando arrivano i tempi difficili, dobbiamo entrare nella battaglia.
Giacobbe si gettò anima e corpo nella battaglia contro l’angelo, usando tutta la sua umana abilità. Era sorto in lui uno spirito combattente e “nel suo vigore, lottò con Dio” (Osea 12:4). Questo versetto ha un grande significato per tutti coloro che vogliono vincere nella preghiera. Giacobbe vinse grazie al “suo vigore” e così dobbiamo fare anche tu e io. La forza viene dallo Spirito Santo. “Fortificati in ogni cosa dalla sua gloriosa potenza, per essere sempre pazienti e perseveranti” (Colossesi 1:11). “Affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore” (Efesini 3:16).
La domanda che Osea fece al popolo di Dio era : “State usando la forza che vi è stata data?”.
Chi è così consumato dal desiderio di compiacere Dio da voler disperatamente essere liberato da ogni sua abitudine e avidità e lotta fino a che Dio non spezzerà tutte le catene?
Betel, dove Giacobbe lottò con il Signore, è un simbolo della nostra vita di preghiera, è il luogo in cui ci rechiamo per incontrare Dio. Betel è la nostra stanzetta di preghiera, il luogo in cui andiamo nei momenti difficili. Il Signore ci dice oggi: “Ogni momento in cui ti senti in difficoltà o in pena, corri all’altare. Invocami e io t’incontrerò lì”. Quando ti sarai chiuso nella stanzetta con lui, lasciando fuori tutte le altre voci e i rumori, tu udrai la sua voce.
Ti chiedi perché Dio ti stia spronando: “Su, combatti”? E’ semplicemente perché ti ama. Vuole che tu reclami e ottenga tutte le sue benedizioni. Perciò, alzati in fede e afferra la sua promessa. Ti è stata data la sua forza. Adesso usala.
Commenti