La gioia di dimorare nella casa di Dio - Salmi 84

Quale luogo può essere mai paragonato all’incantevole dimora di Dio? 

Essa è un luogo di incomparabile bellezza, di straordinario splendore e di ineffabile beatitudine.  Quando afferma: “L’anima mia langue e vien meno, sospirando i cortili del Signore”, il salmista esprime l’effettivo desiderio di essere con il Signore in persona. Questo è quanto afferma nella frase successiva “…il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al Dio vivente”.  Il pellegrino si identifica col passero e con la rondine. In un altro salmo, il passero è usato come metafora di solitudine (“Veglio e sono come il passero solitario sul tetto”; Salmo  102:7) e chiunque abbia mai osservato una rondine sa bene quale creatura irrequieta essa sia: sfreccia e vola senza posa sempre più in alto sfruttando le correnti. Entrambe sono metafore appropriate del popolo di Dio che soggiorna nel deserto.

 I figli di Israele possono trovare riposo e sicurezza per sé e per le proprie famiglie soltanto presso gli altari del Signore. Nel tabernacolo prima e nel tempio poi vi erano due altari: l’altare di rame e l’altare d’oro. Il primo simboleggia la morte di Cristo e il secondo la sua risurrezione. Insieme essi rappresentano l’opera completa compiuta dal nostro Salvatore. Questo è il luogo dove l’anima nostra, come la rondine, può riposare e dove possiamo far riposare anche i nostri figli. “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia” (Atti 16:31). 

In un impeto di quella che potremmo definire “santa gelosia” l’esule esclama: “Beati quelli che abitano nella tua casa e ti lodano sempre!” Se pensiamo alla felicità delle persone che amiamo e che sono tornate alla casa del Signore non possiamo affliggerci per loro. Per noi la loro morte è una perdita ma per loro è eterno guadagno! Stanno molto meglio di noi.  Dopo la beatitudine di quelli che sono già in cielo torniamo a considerare la beatitudine minore di quanti sono ancora in cammino. 

Di questi ultimi si tratteggiano alcune caratteristiche. Innanzitutto costoro trovano la forza nel Signore, non in se stessi. Essi sono fortificati “nel Signore e nella forza della sua potenza” (Efesini  6:10). Inoltre nei loro cuori si trovano le vie che conducono a Sion. Non è il mondo la loro casa: benché nel mondo, essi non sono del mondo. Il loro cuore è in pellegrinaggio.  Infine, quando attraversano la valle di Baca, ossia la “valle del pianto”, essi la trasformano in un luogo di fonti. Queste anime indomite possono cantare perfino nell’afflizione e scorgere l’arcobaleno tra le lacrime; trasformano tragedie in trionfi e usano le sventure come trampolino per accedere a realtà più grandi. Il segreto della loro vittoria sulle circostanze avverse si trova nella successiva affermazione: “la pioggia d’autunno la ricopre di benedizioni”. 

La pioggia è comunemente intesa come figura dello Spirito Santo, di cui si considera qui il ministero di ristoro, descritto come scaturigine di fonti di acqua limpida e fresca per i viandanti del deserto. Si consideri che l’acqua rappresenti la Parola di Dio (come in Efesini 5:26). Ciò spiega come essa possa aumentare la loro forza. Anziché indebolirsi durante il viaggio, i figli di Israele diventano sempre più forti. Sebbene la loro natura esteriore decada, la natura interiore si rinnova di giorno in giorno (vd. 2 Corinzi 4:16). Segue una magnifica nota di rassicurazione: “…e compaiono infine davanti a Dio in Sion”. Non vi è alcun dubbio: il duro viaggio nel deserto sarà infine coronato dalla gioia di vedere il Re in tutta la sua magnificenza. 

Il salmista qui prorompe in una preghiera appassionata indirizzata in primis al Signore Dio degli eserciti e subito dopo al Dio di Giacobbe. Il Signore Dio degli eserciti è il sovrano della vasta moltitudine di esseri angelici. Il Dio di Giacobbe è il Dio dell’indegno, dell’ingannatore. Ma pensate! Il Dio di innumerevoli angeli riuniti in festa è anche il Dio di una canaglia come Giacobbe. 

Colui che è infinitamente alto è anche intimamente vicino. Ed è questo l’unico motivo per cui voi e io riusciremo mai ad accedere alla sua presenza.  Che titolo abbiamo per presentarci a lui? Vedi, o Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo unto! Noi saremo accettati soltanto tramite la Persona e l’opera perfetta del Signore Gesù. Dio vede il mio Salvatore e poi Vede me. 

E come ci si sente in paradiso? Orbene, un giorno nei suoi cortili val più che mille altrove… un modo di dire che non vi sono paragoni! Non siamo assolutamente in grado di concepire la gloria, la gioia, la bellezza e la libertà di trovarsi dove si trova Gesù. Ed è un bene che sia così. Altrimenti saremmo forse infelici di rimanere qui a portare avanti il nostro compito. Meglio stare sulla soglia della casa del nostro Dio che abitare nelle tende degli empi o, come disse Spurgeon: “La cosa peggiore di Dio è migliore della cosa migliore del diavolo”. E non soltanto migliore ma anche più duratura. Si noti il contrasto tra la casa del nostro Dio e le tende degli empi. La prima è una dimora permanente, l’altra è piantata per un tempo relativamente breve. 

Il Signore Dio è un sole che dona luce nell’oscurità ed è uno scudo che ci protegge dal calore lungo il cammino. Il Signore concederà grazia lungo il sentiero in ogni tempo di necessità e poi, alla fine del viaggio, accoglierà i suoi figli redenti nella sua dimora eterna dando loro la gloria. Di fatto il pellegrino ha la certezza che nel tragitto tra la terra e il cielo non gli mancherà nulla giacché Dio non rifiuterà di far del bene a quelli che camminano rettamente. 

Se ciò che chiediamo è bene per noi Dio non ce lo rifiuterà; ce lo rifiuterà se non è bene. “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32). 




C’è poco da meravigliarsi dell’esclamazione sincera con cui il salmista chiude il salmo: “O Signore degli eserciti, beato l’uomo che confida in te!” A questo punto il mio cuore replica: “Sì, Signore, sono eternamente grato di appartenere a te”.


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